Carissimi fratelli e sorelle della Chiesa di Catania,
“osare” è il verbo che sento sposarsi meglio con gli auguri pasquali di questo anno, e non so trovare pagina biblica più bella e più incoraggiante di quella in cui racconta che il mattino di Pasqua, le donne che avevano seguito Gesù fin sotto la croce sfidando il disprezzo e gli sguardi minacciosi delle guardie e dei farisei, si recarono alle prime ore dell’alba al sepolcro. Sono l’immagine di una fede che non se ne sta tranquilla ad aspettare che qualcosa accada, perché crede che il Salvatore è già venuto nel mondo; sono l’icona di chi non si rassegna a vedere precluse ogni possibilità di cambiamenti in sé e attorno a sé. Hanno il coraggio di muoversi dalle loro case dopo un giorno di festa vissuto amaramente perché il loro Maestro Gesù era stato crocifisso. Non sapevano cosa le aspettasse, perché avevano semplicemente la pretesa di ungere il corpo del Signore con i loro unguenti, certamente i migliori che avevano potuto comprare, senza temere lo spreco verso chi aveva usato loro gesti di considerazione, lasciando che delle donne fossero le discepole di un Rabbi.
In questo momento storico queste donne ci indicano la strada audace di chi vuol prendersi cura di quel corpo piagato che è la nostra società, le nostre città, il mondo che si sta abituando alla guerra e che si sta riabituando a risolvere i conflitti con le armi. Quelle donne ci invitano a prendere con noi quegli unguenti che si chiamano compassione, carità, dialogo, perdono e ci spingono ad andare con coraggio verso situazioni che sono come sepolcri serrati, in cui tanti nostri fratelli giacciono.
Le donne osarono, ma scoprirono che prima di loro aveva osato Gesù di Nazareth: non era fuggito, non aveva abbandonato quel corpo al buio della tomba per tornare nelle altezze del suo Cielo. Era risorto con quello corpo segnato dalle piaghe rimarginate dalla Sua Misericordia e le avrebbe presentate a tutti, come la “bandiera” sul peccato, sulla morte, sul risentimento. Il Cristo Risorto osa ancora avere fiducia nell’umanità, in quelle donne che le sono rimaste fedeli, ma anche in quei discepoli che sono fuggiti e che lo hanno rinnegato. Le invia ad annunciare che Dio osa amarti nonostante tutto: non importa che tu sia come Pietro, che lo ha rinnegato tre volte, o Simone lo Zelota che ha mostrato tutta la sua debolezza nonostante l’aggettivo altisonante che lo caratterizza, o Matteo, il ricco gabelliere che non ha potuto comprare da nessuno il coraggio di seguire Gesù sotto la croce.
Le donne che vanno ad annunciare che il sepolcro è vuoto, e che ricevono da un angelo questo grande compito, giungano con la loro dolce irruenza ad annunciare anche a ciascuno di noi che la risurrezione è possibile: Cristo è risorto ed è solo la primizia, sia dei morti che attendono il compimento della sua promessa, sia di ogni situazione nella quale riteniamo che il bene sia perduto.
Ed ora ad osare siamo noi che ci facciamo gli auguri di Buona Pasqua: sappiamo che farci questo augurio è molto impegnativo, perché vogliamo dire all’altro che dal giorno della Risurrezione di Cristo nulla è impossibile a Dio, neppure la speranza contro ogni disperazione, neppure l’impegno, soprattutto a ricostruire relazioni familiari, cura delle persone più fragili, anziani o piccoli che siano, le nostre città e le nostre coscienze assopite da ciò che riteniamo scontato e continua a dare morte.
Che “osare” sia il verbo da vivere in questa Pasqua di Risurrezione, nelle nostre città sulle quali veglia il bianco mantello dell’Etna e in ogni angolo della Terra.
Auguri, vi benedico.
+ Luigi Renna, Arcivescovo metropolita di Catania